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Diavolo che scrive al pc

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Tic tic tic tic tic tic

lunedì 28 settembre 2015

Non voglio che Adrianopoli accada proprio quando ci sono io


Piazza Duomo a Milano, 3 gennaio 2009. Foto tratta dalla copertina del libro: “L’invasione. Come gli stranieri ci stanno conquistando e noi ci arrendiamo”, Aliberti editore ( (2009)

Cari amici, lo so, sono quasi due mesi che non aggiorno il blog.
Purtroppo le cose della vita prendono a volte delle dinamiche impreviste, ed in questo momento non ho il tempo né la testa per riuscire a seguire come meriterebbe questo piccolo blog di periferia.
Vi ringrazio perché nonostante tutto ho constatato che avete continuato a seguirlo, non si è verificato quel calo clamoroso di attenzione che temevo.
Scusatemi però se per un po' non sarò più così assiduo come prima.

Ci sarebbero tante cose da dire, e da fare, su quello che è accaduto praticamente negli ultimi due mesi.
Dall'ormai conclamata invasione ai confini dell'Europa di centinaia di migliaia di persone provenienti dall'Oriente oltre che dal Sud del mondo, pacifica certo, comprensibile, inevitabile anche sotto certi aspetti, ma che i nostri governanti continentali stanno gestendo in un modo che peggiore non può essere; alla tragicomica vicenda dei nostri marò, la cui vicenda kafkiana è stata finalmente "internazionalizzata" dal nostro governo attuale dopo tantissime esitazioni e portata innanzi al Tribunale del Mare di Amburgo, col risultato di far subito scoprire la falsità delle carte in mano all'India (noi lo dicevamo modestamente sin dal 17 febbraio 2014, vedete QUI), dando ragione a chi da tre anni va dicendo che QUESTA era la via, e non di cercare impossibili accomodamenti con le autorità indiane seguendone pedissequamente le estenuanti procedure legali palesemente inefficaci quando non addiritura condotte con malafede; per non parlare della barzelletta somma dell'anno, quella secondo cui all'ONU la Presidenza della Commissione per il Rispetto dei Diritti Umani è stata data a quell'invidiabile Stato di diritto che si chiama Arabia Saudita, un cui 21enne cittadino, Ali Mohamed al Nimr, è stato condannato, pensate un po', alla decapitazione prima con successiva crocifissione poi per un reato gravissimo: aver manifestato contro il governo (leggi QUI)!!! 
Senza dimenticare che nel medesimo Stato un blogger come chi vi scrive, Raif Badawi, è stato condannato a subire mille frustate (in più "sedute", diciamo così, se no non sopravviverebbe di sicuro) e dieci anni di carcere per aver scritto degli articoli sempre contro il governo ed a favore della libertà di pensiero e di culto, che gli hanno fruttato la condanna per oltraggio all'Islam e apostasia...(v. QUI)
E questi sono alleati degli Americani e nostri, eh...




Siamo messi così, amici miei: noi ci titilliamo con oscure ed assurde teorie gender da insegnare nelle scuole ai bambini in età da prima elementare o giù di lì, perseguiamo l'impossibile sogno (incubo?) di parificare innaturalmente l'imparificabile (l'unione civile omosessuale al matrimonio etero, la vendita dei figli surrogati di genitori dello stesso sesso, in realtà acquistati all'estero da madri biologiche bisognose, con lo stesso spirito commerciale di chi prende degli smartphones su Amazon, come se sia la stessa cosa del concepimento naturale da uomo a donna), vaghiamo nel vuoto pneumatico di uno stanco buonismo in realtà frutto di noia e di sazietà, chiuso nel proprio egoismo dell'anima, un vuoto che persino le parole di Papa Francesco a volte sembrano autorizzare a legittimare.
E mentre questo accade tutt'intorno a noi l'Occidente implode su sè stesso. Nelle sue contraddizioni. Nelle sue vacuità. Nelle sue infamità.




Nel 378 un Impero Romano ormai mollemente imbelle, ricchissimo (ma con tante contraddizioni sociali al suo interno), privo di nerbo e di vera e propria volontà autoconservativa, anche se militarmente apparentemente inespugnabile, venne sconfitto in maniera irreparabile ad Adrianopoli da orde di migranti irregolari morti di fame e con le pezze al culo provenienti da est, come quelli che ci stanno invadendo ora.
Pencolando tra sentimenti di solidarietà spesso solo pelosa, la voglia di specularci sopra, politica, elettorale ed economica, il desiderio di utilizzarli come utile carne da macello da usare nelle tante guerre che imperversavano ai margini dell'Impero, il tutto alternato senza criterio alla volontà certe volte di fermarli rigorosamente e spesso con estrema crudeltà al confine (i muri si erigevano anche lì, sono passati alla Storia come Limes, e quelle che ora sono le guardie confinarie che li presidiano allora si chiamavano Legioni Limitanee), insomma esattamente come ora, i Romani vennero alla fine travolti da questa fiumana di persone, decise a tutti i costi a passare il Danubio per irrompere nel tanto favoleggiato Impero Romano.





La maggior parte dei Cives Romani che si opposero a questo terremoto epocale, in primis proprio i soldati e persino gli Imperatori, erano ormai di origine non più latina ma germanica o addirittura sarmatica, cresciuti da Romani pur nell'evidenza di una palese differenza fisica, culturale, religiosa, eppure guarda un po' erano proprio questi cittadini di origine straniera quelli che ci tenevano di più alla Romanità, con orgoglio e senza esitazioni (e tra un po' succederà anche qui): i "vecchi" Romani, in particolare gli Italici, erano ormai esentati da secoli dal servizio militare e preferivano dedicarsi al sollazzo, ai vizi, al lusso, quando non erano ormai impoveriti da uno Stato sempre più ingordo e burocratizzato, con tasse per tutti i gusti e tutti i generi, ed un apparato fiscale che trovava il pari solo nell'esercito, ormai un mastodonte drena risorse eppure sempre più inefficiente e tenuto in piedi solo grazie a chi italico e latino di origine non era.
Ecco perché successe l'impensabile.

Quelle bande di laceri scappati di casa (letteralmente, eh...), passati alla Storia come Goti, fuggivano anch'essi da Oriente, da quella che era l'ISIS di allora, cioè i ferocissimi Unni, di stirpe ugro-mongolica, un'orda mefistofelica proveniente dalle propaggini occidentali della Cina che faceva sembrare i pur "barbari" Goti come un popolo civilissimo, e che praticamente viveva, mangiava, combatteva e dormiva solo a cavallo, abituata a nutrirsi di carne cruda tenuta a macerare nel sudore sotto la pancia del loro animale preferito.
I Goti erano spinti quindi dai più atavici -e salvifici- istinti presenti in natura: dalla paura, dalla fame e dalla voglia di rivalsa contro il voltafaccia dei Romani, che dopo aver dato l'ok al loro ingresso entro il limes troppo tardi si erano accorti di quanto avessero clamorosamente sottovalutato il loro numero, rendendosi conto fuori tempo massimo di non essere assolutamente in grado di poterli sopportare, ed avevano all'improvviso cambiato idea.
Troppo tardi, ormai il disastro si era messo in moto.
Quella gente disperata, ormai, era straripante e non si fermava più: i Goti decisero così di non accettare supinamente l'ordine di tornare indietro e dopo che durante un banchetto apparentemente di riconciliazione era andata a vuoto la congiura tentata da un improvvido funzionario imperiale, il Comes Thraciae, Flavio Lupicino, di assassinare il loro capo, Fritigerno, si incazzarono di brutto, decidendo di dare battaglia.
Erano armati solo di molta fede, tanto coraggio e pochissime armi individuali, tenute nascoste ai Romani nonostante l'imperativo avuto di consegnargliele, eppure cominciarono a vincere e non si fermarono più.
Dopo vari scontri campali e tanta guerriglia lo scontro finale avvenne nella piana sita a 10 km da Adrianopoli (ora Edirne, al confine tra le attuali Grecia e Bulgaria), il 9 agosto di quell'anno, tra gli ormai lanciati uomini di Fritigerno, ormai temprati da mille traversie, col morale a mille e  rinforzatisi nel tempo a dovere grazie ai saccheggi ed alle vittorie, e l'imponente ed armatissimo esercito imperiale guidato dall'Imperatore d'Oriente in persona, Valente, appena arrivato a tappe forzate in quella piana davanti a quei guerrieri indomabili, trinceratisi a cerchio chiuso con donne e bambini tenuti al riparo.
Valente, sbagliando, decise di partire all'attacco del campo trincerato opposto prima dell'arrivo delle truppe di suo nipote Graziano, Imperatore d'Occidente (le divisioni nello stesso campo, altra tara dei tempi moderni), pensando di spazzare vie quei bifolchi in un nanosecondo: fu un enorme errore, le sue fanterie si sbilanciarono tutte in avanti di fronte al nemico, per poi vedersi circondate e travolte su entrambi i lati dalle torme di cavalleria nemiche, sbucate letteralmente dal nulla, assolutamente inaspettate.




Fu una carneficina.
Ad Adrianopoli Valente ci lasciò le penne.
L'intero suo esercito ci lasciò le penne. 
A sconfiggerlo erano stati i Goti, certo, ma in realtà in quel momento qualunque popolo barbaro avrebbe ottenuto quel risultato: il ciclo della Roma Imperiale era ormai finito, e i Goti non fecero che eseguire la sentenza.
Loro volevano solo salvarsi le chiappe in fondo, trasferirsi nel florido, benestante, potentissimo Occidente, coltivare le sue magnifiche pianure, lavorare i metalli, allevare il bestiame, fare il commercio, soprattutto volevano stare al riparo dagli Unni dietro le mura imponenti delle città imperiali, esattamente come quelli che ora premono alle frontiere europee insomma, ed in effetti alla fine vi si stabilirono definitivamente, instaurando con l'ormai debolissimo potere centrale un rapporto apparente di  collaborazione che in poco tempo finì per trasformarsi quasi senza colpo ferire in un vero e proprio loro dominio all'interno di quel formidabile apparato statale, favorito anche dalla loro promiscuità, dalla loro fecondità, dal loro credere in Valori più sani, genuini, meno ipocriti di quelli che ormai stancamente circolavano all'interno dell'Impero...
Gli Unni alla fine arrivarono  lo stesso in Europa, costruendo cammin facendo nella loro corrida infernale durata settant'anni in tutto il continente un impero vastissimo ma che si sarebbe rivelato effimero: misero a ferro e fuoco Costantinopoli e la penisola balcanica, dilagarono nelle pianure tedesche e francesi e, dopo essere stati fermati in un primo momento in Francia il 20 giugno 451 nella battaglia dei Campi Catalaunici dalle truppe del generale imperiale Ezio (un altro barbaro), ma con l'aiuto decisivo dei mercenari visigoti di Teodorico I, si rivolsero verso l'ormai inerme Italia, invadendo il Friuli e la pianura veneta (causando praticamente quell'esodo di genti che portò alla nascita di Venezia), e giunsero a prendere Milano.
Ma a questo punto la Sacra Leggenda vuole che, nel 452, fuggito l'Imperatore Valentiniano da Ravenna, allora capitale decadente dell'Impero d'Occidente, sia  stato Papa Leone I, detto Il Magno, a fermarli, sulle rive del fiume Mincio, affluente del Po, convincendo di persona con l'aiuto di Dio il loro campione più grande, il Re Attila, chiamato "Il Flagello di Dio", a ritirarsi.

"Incontro tra Leone il Grande e Attila", Affresco, 1514, Stanza di Eliodoro, Palazzi Pontifici, Vaticano. 

Di Attila non si sarebbe saputo praticamente più nulla, e gli Unni si sarebbero volatilizzati in pochissimo tempo, probabilmente mischiandosi ad altre genti di stirpe ugro-finnica poi stanziatesi definitivamente nell'attuale Ungheria.
Ma allora il Cristianesimo era ormai divenuto largamente maggioritario e molto sentito, da tutti, soppiantando il morente paganesimo ormai ridottosi a mera parodia del tempo che fu, ed il Papa emergeva prepotentemente come unica Autorità indiscussa e indiscutibile, con una forza morale, politica e religiosa incommensurabilmente più forte di adesso, ben superiore a quella dell'ormai finito istituto imperiale
Ora si può dire lo stesso della Cristianità, e di Papa Francesco?
Al di là del suo indubbio favore popolare, più incentrato sulla sua persona che sulla Chiesa che conduce?
Soprattutto, abbiamo un Papa capace di parlare vis a vis con tale risultato e con così tanta forza interiore da bloccare gli Unni di oggi?
E che soprattutto lo voglia fare? Lo voglia sul serio?






L'Impero Romano d'Occidente, ormai di fatto ridotto alla mera penisola italiana ed a qualche propaggine dell'attuale Francia e dell'attuale Dalmazia o giù di lì, cadde ventiquattro anni dopo l'incontro tra Attila e Papa Leone Magno, nel 476, quando Imperatore era tale Romolo Augustolo, un adolescente barbaro, figlio del barbaro di origine pannonica Flavio Oreste, Magister Militum del precedente Imperatore, Giulio Nepote, barbaro pure lui, dalmata per la precisione, e fatto fuori dal barbarissimo Odoacre, erulo, o sciro, o mezzo e mezzo, a sua volta in precedenza generale della guardia dello stesso Flavio Oreste, che grazie a lui aveva spodestato lo sfortunato Giulio Nepote.
Quindi l'Occidente non cadde per mano di Attila (peraltro pare che sempre Flavio Oreste avesse servito quest'ultimo come notaio reale), ma per mano di quelle stesse genti che pure da due secoli spadroneggiavano al suo interno pressoché indisturbate e che costituivano ormai il 90% del suo apparato burocratico, militare, istituzionale, come abbiamo visto, cantandosele e suonandosele da soli.
In mano alle antiche stirpi italiche e latine restava solo un minimo potere residuale pressoché simbolico, che si incarnava nel Senato: un Senato litigiosissimo e perennemente in ebollizione, con rivalità accesissime, che non si rendeva però tristemente conto che la sua era era finita, finito il suo prestigio, finito tutto, persino la sua dignità.
Ma si accontentava di quello, di raccogliere le briciole lasciate dagli altri. Tra un litigio e l'altro.
Come la politica italiana di oggi.




Nulla più restava della straordinaria costruzione umana e politica che era stato da Cesare in poi il magnifico ed apparentemente eterno Impero Romano.
L'Europa prima unita sotto l'Aquila Imperiale si divideva in tanti Stati e Staterelli, tenuti insieme solo dalla comune trionfante religione cristiana, seppure anch'essa distinta tra confessioni cattoliche e ariane, con l'Oriente già lanciato in quella tendenza confessionale che sarebbe sfociata nell'ortodossia.
Col tempo tutte queste piccole entità statuali sarebbero state chiamate Regni Romano-Barbarici, embrioni dei futuri Stati nazionali europei giunti fino ad ora.





In Italia all'erulo-sciro-turcilingio Odoacre sarebbe succeduto ben presto Teodorico, coi suoi Ostrogoti. I Visigoti avrebbero governato in Spagna fino all'avvento degli Arabi, nell'VIII secolo. I Franchi si sarebbero presi la Francia. Le stirpi germano-sarmatiche (Sassoni, Bavari, Turingi, Svevi, Gepidi, Longobardi) avrebbero occupato la Germania, Sassoni e Britanni si sarebbero disputata la Gran Bretagna ormai abbandonata da tempo a sé stessa dagli Imperiali, per essere poi fatti fuori tutti dai Normanni, i popoli slavi avrebbero occupato tutta l'Europa ad est del Danubio e così via, dando grosso modo il la all'Europa modernamente intesa.




Forse ora però i loro eredi, apparentemente facenti parte di quell'entità virtuale che si chiama Unione Europea, erede quasi in fotocopia dell'antico Impero Romano d'Occidente, saranno travolti da una migrazione epocale che tanto somiglia ad una nuova invasione, se non riusciranno a trovare prima di tutto dentro di sé, senza vergognarsene ed anzi direi con Orgoglio, la propria Storia, i propri Valori, le proprie Tradizioni, insomma in tutto quello che costituisce le loro Radici, in primis quelle spirituali e religiose, la Motivazione per rispondere tutti insieme alla Grande Sfida che gli si pone davanti.
La Storia non fa sconti e non ha preferenze, va sempre avanti secondo un corso che conosce solo lei.
E' diritto delle genti più vitali, emergenti, con meno da perdere cercare di sconfiggere e poi sostituire i grassi, bolsi, sazi, scettici detentori del vecchio potere. 
Ma credo sia anche diritto-dovere per chi non è d'accordo quello di opporsi ad una simile deriva.
Mi azzardo a dire che il suo ruolo nella Storia è questo.
E, mi dispiace, io non voglio che Adrianopoli accada proprio quando ci sono io.





2 commenti:

  1. Se lei crede all'esistenza di una "teoria gender", allora può anche credere agli unicorni volanti

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  2. Se lei invece non vede come questa teoria stia strabordando, molto semplicemente, le consiglio di rivolgersi ad un oculista.
    Ma uno bravo, eh...

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